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Casalecchio, una strage dimenticata

Lacrime di coccodrillo e tante promesse, ieri come oggi, ma ovviamente nessun colpevole.E i voli a bassa quota continuano.

di Daniele Barbieri
Il 26 gennaio '98, pochi giorni prima della strage del Cermis, la giustizia italiana mise la parola fine a un'altra vicenda di "morti in tempo di pace per mano militare". I giudici della quarta sezione della Cassazione di Roma, rigettarono i ricorsi e confermarono così la sentenza su Casalecchio - tutti assolti, "perché il fatto non costituisce reato" - emessa un anno prima dalla Corte d'appello di Bologna. Reati in prescrizione (nel caso di omicidio colposo plurimo) dopo 7 anni e mezzo; dal giugno '98 il caso è dunque chiuso.
Quei giudici dissero che non esistevano colpevoli per i 12 uccisi (e i 90 gravemente feriti o mutilati, molti dei quali da allora bisognosi di cure) il 6 dicembre '90 da un Aermacchi della patria aviazione che si schiantò sulla scuola Salvemini a Casalecchio di Reno (vicino Bologna) dopo che il tenente Bruno Viviani s'era gettato col paracadute. Nessun responsabile se le vite di Laura, Deborah, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen e Alessandra sono state stroncate. Dopo che la strage venne negata in appello, con scarse reazioni istituzionali e con sdegno di breve durata, alcuni ragazzi dell'Associazione studenti ed ex-studenti del Salvemini, scrissero una lettera (alla rivista "Alfazeta") parlando d'una "tredicesima vittima, la gente e gli stessi opinionisti colpiti dalla scarsità di informazioni che i loro stessi colleghi forniscono. Tredicesima vittima è la dignità calpestata dal peso o in nome di una divisa. La tredicesima vittima è chi cade in questa rete e sta al gioco".
Imputati al processo erano il pilota Viviani, il suo comandante Eugenio Brega e l'ufficiale della torre di controllo Roberto Corsini. La loro difesa, su richiesta del ministero della Difesa, venne affidata all'Avvocatura dello Stato. "Scelta che provocò rabbia e sconcerto perché se è vero che l'areo era un mezzo militare è pur vero che colpì una scuola statale" scrissero gli studenti lamentando che "il ministero della pubblica Istruzione non trovasse nella morte di 12 studenti, avvenuta mentre facevano lezione, una motivazione per chiedere di essere rappresentato da quell'organo al servizio dello Stato che è l'Avvocatura". Il processo di primo grado ebbe il coraggio (di fronte all'evidenza dei fatti) di condannare Viviani, Brega e Corsini a pene superiori ai due anni - per disastro aviatorio colposo e lesioni colpevoli - e il Ministero della difesa a risarcire i danni (per responsabilità civile). Nella sentenza d'assoluzione si legge invece che il caso fu gonfiato, che "il dibattimento diventò un rito esorcistico", che i giudici di primo grado aggiustarono i fatti. Per mandare assolti i militari si usa un linguaggio arrogante, assurdo e offensivo. Nella stessa logica del piccolo e squallido ricatto di non affidare al Genio i lavori (gratuiti) di ricostruzione della scuola se l'amministrazione di Casalecchio non avesse prima firmato una liberatoria, in pratica una specie d'assoluzione morale anticipata; trenta denari che non furono accettati.
Il silenzio cala su Casalecchio. Le esercitazioni su zone abitate continuano. Al nuovo "crimine di pace" in Cermis il copione della pubblica ipocrisia si ripete: promesse, retorica, lacrime di coccodrillo. E nessun colpevole.


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