I CADAVERI DI KABUL
intervista di Vauro a Gino Strada

da "il manifesto", 14.11.2001

Appena arrivato a Kabul per riaprire l'ospedale di Emergency Gino Strada ha vissuto il drammatico cambio della guarda nella martoriata capitale dell'Afghanistan, le ultime razzie dei talebani, i primi morti e feriti dei mujaheddin. "La scorsa notte è stata la notte più lunga e più tremenda - racconta Gino Strada al telefono - improvvisamente una pioggia di razzi e bombe ha travolto la città, esplosioni dovunque, dovunque palazzi che crollavano. Un tempo lunghissimo. Un tempo che sembrava essersi fermato, da ieri fino alle 7 di stamani. Abbiamo visto un pick-up di taleban che ha acceso i fari per partire ed è stato immediatamente illuminato dal fascio di luce di un elicottero americano. Volavano a bassa quota a luci spente, su tutta la città, pronti a colpire qualsiasi cosa fosse in movimento dopo averla inquadrata con i potenti riflettori. Hanno centrato il pick-up dei taleban disintegrandolo, ma insieme è saltata una abitazione, due intere famiglie sono sparite inghiottite dalle macerie".
E' la voce di Koko Jalil, l'aiutante afghano del Panshir di Gino Strada che lo ha seguito fino a Kabul, quella che per prima mi raggiunge al telefono. "Taleban burubakahi Kabul", i taleban se ne sono andati da Kabul, mi grida Koko Jalil. Parla solo farsi e fatico non poco a comunicare la gioia di sentirlo, di sapere che è vivo. Perché la scorsa notte è stata la più lunga e più tremenda. Razzi, bombe, un rombo incessante, fino alla mattina. E, per tutta la notte, le incursioni del taleban. "Una bomba è caduta proprio dietro la nostra casa - racconta Gino Strada - ha semidistrutto l'abitazione di Jamal, l'amministratore afghano dell'ospedale".

Quindi i taleban non hanno evacuato immediatamente la città.


C'era il caos tremendo prodotto da un traumatico e improvviso cambio di potere. I taleban giravano per tutta la città razziando ogni mezzo disponibile, entrando nelle case per rubare. Un gruppo di taleban armati di kalashnikov ha fatto irruzione anche nella nostra abitazione. Ci siano ritrovati con le canne dei fucili puntate contro, abbiamo temuto che ci volessero prendere come ostaggi, come gli otto occidentali, volontari di Shelter now, o peggio. Per fortuna si sono accontentati di portar via il Land Cruise dell'ospedale. La stessa cosa è accaduta al nostro amministratore Jamal. Si aggirava nella sua casa, colpita e semidistrutta dalle bombe, quando ha sentito parlare russo, si è ritrovato all'improvviso circondato da un gruppo di ceceni che volevano la sua jeep Lada Niva, anche se, a sua volta, danneggiata dalle bombe, non era più in grado di viaggiare. Dunque per evitare il rischio di essere rapiti ci siamo rifugiati all'interno dell'ospedale. Pensa un po', Vauro: abbiamo dormito proprio soto i disegni per i bambini che avevi fatto tu a febbraio sulle pareti dei padiglioni.

In che condizioni è l'ospedale?


Abbastanza buone, anche se schegge metalliche di bombe hanno danneggiato alcune pareti. Medici e paramedici sono costretti a portare l'elmetto per proteggersi dalle scheggie, perché l'ospedale è abbastanza esposto. Ora però è protetto da una scorta armata dei corpi speciali dei mujaheddin, che sono entrati per primi in città. Stazionano fuori dall'edificio permamentemente. Abbiamo cominciato a operare i primi feriti stamattina alle 6, abbiamo continuato ininterrottamente finora, alle 21.

Da noi sono giunte immagini della Cnn che mostrano una popolazione in festa nella Kabul liberata...


Quale Kabul? Si vede che c'è un'altra Kabul. In quella dove sono io si vedono corpi, tanti cadaveri gettati nei canali che costeggiano le strade. Si sentono ancora colpi, anche in questo momento, colpi di armi leggere. Ci sono sacche di resistenza ancora attive in città, anche se il grosso dei taleban si sta raggruppando a Maidan-shar, a una cinquantina di chilometri da qui.

Insomma, Gino, ve la siete vista brutta...


Sì, ma il personale afghano di Kabul e quello venuto da Panshir è sempre rimasto accanto a noi, vicino, per proteggerci in ogni modo. E' importante essere qui nei momenti più difficili, non aver abbandonato questa gente. Essere stati qui prima, quando tutti se ne andavano. Abbiamo dimostrato di essere estranei alle parti, non coinvolti con le fazioni, ma coinvolti nell'aiuto alle persone, quando le persone ne hanno più bisogno proprio perché sono abbandonate alla loro vulnerabilità.




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