Ritorno a Kabul
di Gino Strada

Kabul, 11.11.2001

A quest'ora lo saprete già, siamo a Kabul. Vorrei raccontarvi come e perché, ad evitare fraintendimenti e speculazioni di chi cerca di farci passare per quel che non siamo, se non altro perchè non ci interessa di esserlo.

Come sapete, la decisione presa a Milano il 17 maggio, di chiudere il Centro Chirurgico di Kabul, non é stata facile. Certo, c'era - e credo correttamente - una ragione di protesta nei confronti di un regime autoritario e violento, che non aveva esitato a mandare gente armata a picchiare e arrestare personale sanitario. E c'erano, ovviamente, preoccupazioni per la sicurezza del nostro staff e dei nostri pazienti.

Ma al tempo stesso, non abbiamo mai smesso, da allora, di tenere aperto il dialogo con le autorità di Kabul, per rendere possibile la riapertura dell'ospedale, perché qui a Kabul il nostro ospedale é l'unica speranza di cura specializzata e gratuita per la popolazione civile.

Abbiamo tenuto aperto il dialogo anche dopo l'11 settembre, e quando - é bastata mezza giornata - si é disegnato un possibile attacco militare all'Afghanistan, abbiamo fatto ai talebani una proposta precisa, che potremmo riassumere così.

Emergency torna a Kabul per riaprire l'ospedale, perché ce ne sarà bisogno. Mettiamo in un cassetto le divergenze, che restano, su molte questioni, enormi e difficilmente conciliabili. Ne discuteremo di nuovo, quando non ci sarà una tragedia umanitaria in atto, per ora la sola cosa che conta davvero é garantire cure mediche urgenti ai feriti e alla popolazione.

Bene, questa proposta l'abbiamo fatta il 12 settembre, e in linea di principio é stata accolta. Avremmo fatto la stessa proposta a tutti, senza discriminazioni, in una situazione analoga. A New York non mancano certo medicine ed ospedali, ma se ci fosse stata una sede di Emergency a Manhattan, i nostri volontari avrebbero dato una mano, per portare aiuto alle vittime del WTC.

Abbiamo continuato a lavorare per tornare a Kabul, ostinatamente, non ci siamo rassegnati neanche quando ci é stato rifiutato di salire su due aerei - verso il 20 di settembre - che si recavano vuoti, ripeto vuoti, a Kabul per evacuare gli ultimi stranieri rimasti.

Siamo passati attraversando, in jeep e a cavallo, le montagne dell'Hindukush, per arrivare ad Anabah dopo cinque giorni. Non é stato facile raggiungere tutti gli accordi necessari per il passaggio del fronte - credo di essere diventato dipendente dal the, tanti io e Kate ne abbiamo dovuti bere in interminabili riunioni. Tanto per cominciare i talebani hanno dato ordine a tutti gli occidentali di lasciare l'Afghanistan, in secondo luogo c'era, e c'é!, un problema di sicurezza non irrilevante, visto che per Kabul circolano un bel po' di terroristi, mercenari della Jihad che non amano certo aver a che fare con una signora inglese (Kate) né con un chirurgo italiano. Infine, cosa non da poco, come passare un fronte ermeticamente chiuso e con pesanti combattimenti (e bombardamenti!) in corso da ormai un mese.

Abbiamo deciso di provarci, armati - scusate la parola - di quel poco di incoscienza e fatalismo che a volte occorre quando la ragione, o la razionalità, sembrano suggerire che sarebbe meglio lasciar perdere. Alla fine ci ha convinto la disponibilità dello staff afgano di Emergency a darci una mano, a rischiare anche di persona perché i civili di Kabul possano essere curati.

E' lo stesso staff che, ad Anabah come a Kabul, non si é tirato mai indietro, quando c'era da fornire immediatamente sangue a feriti in fin di vita, senza chiedersi a che etnia appartenessero.

Senza di loro, Emergency non sarebbe riuscita a tornare a Kabul. Perché dall'una parte e dall'altra, qualcuno dovrebbe decidere di viaggiare con noi, sulle stesse macchine, attraverso le linee del fronte dove i bombardamenti sono costanti e rischiare la vita perché Emergency torni a Kabul? Per lo stipendio? No, non credo, si può anche lavorare per lo stipendio, ma per uno stipendio non si rischia la pelle, non qui dove il rischio é tutt'altro che teorico.

Meglio essere chiari su un punto: noi siamo qui per curare i civili, perché, come succede ogni volta in guerra, le risorse sanitarie, quelle poche che ci sono, sono "riservate" ai combattenti. Questi ultimi, a Kabul, hanno un loro ospedale, il più grande, l'unico che ha ancora qualche scorta di medicine etc.

Ma, lo abbiamo sempre detto ed é proprio il caso di ribadirlo in questi giorni, Emergency non ha mai cacciato nessuno presentatosi ferito e sofferente alla porta di uno dei nostri ospedali. Nessuno, mai, e non lo faremo neanche questa volta.


Gino





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