clicca per ingrandire

"UNA GIORNATA DI CIVILTA' PER IL DIRITTO AL FUTURO"
Manifestazione nazionale per i diritti dei migranti - Roma, 19 gennaio 2002

(Click qui per leggere il testo dell'appello e le adesioni ricevute)


Liberazione

da "Liberazione" del 20.02.2002

Duecentomila a Roma
Il futuro è di tutti i colori


Riuscitissimo il corteo per i diritti di cittadinanza contro la legge Bossi-Fini

di Checchino Antonini

Festa, invasione, corteo: le parole e i numeri non bastano a descrivere la manifestazione di ieri, la più grande del genere, di e per i migranti, la prima grande risposta di massa del 2002 contro il governo Berlusconi. I cinquantamila attesi alla vigilia sono diventati, per le vie del centro di Roma, oltre centocinquantamila. Fino a sera la questura sarà avara di stime ufficiali nonostante gli elicotteri non abbiano mai perso di vista il fiume antirazzista. Per tante e tanti, entrare a Piazza Navona sarà una missione impossibile, la coda del corteo s'è attestata a Piazza Venezia. Per la seconda volta, in poche settimane, il punto d'arrivo si è rivelato insufficiente. Era già accaduto il 10 novembre alla scadenza indetta contro la guerra economica, sociale e militare. C'era più gente di sei mesi fa a Genova da dove sono scesi in tanti nonostante le centinaia di espulsioni che la locale questura sta facendo nel tentativo di recuperare il consenso perduto a luglio. Come allora, nella cabina di regia ci sono i social forum capaci di attrarre molta più gente della somma dei loro "pezzi".
«Persone da rispettare, non merce da contrattare», chiariva il lenzuolone firmato "Provincia Immigrata di Pesaro e Urbino": in strada s'è riversata l'intera rete di associazioni, comunità, sindacati di base e confederali, di partiti della sinistra. C'erano Rifondazione comunista, verdi, ds, pdci e via, via fino agli anarchici; le Camere del lavoro della Cgil (fortemente innervate da iscritti e delegati immigrati) a fainco dei Cobas, le Rsu del coordinamento nazionale e la Fiom; la trama delle donne (in nero, del forum Prc, di piccole e grandi associazioni, di ogni parte del mondo) e quella delle ong, dei coordinamenti di immigrati, della "3 febbraio", delle piccole cooperative e di giganti associativi come l'Arci o Legambiente o di "novità" come Attac! Italia; le case dei diritti sociali, le comunità di accoglienza; i musulmani dell'Ucoii che inneggiavano all'Intifada e gli indiani di religione Sikh, le comunità cattoliche di base, le chiese e i giovani evangelici; i giovani comunisti e i disobbedienti di ogni ordine e grado che dicevano sull'enorme striscione: «Noi siamo il futuro, una moltitudine multietnica». Appresso, gli studenti in movimento, la sinistra giovanile e gruppi anche minuscoli come il neonato Gooa romano. Presenti, naturalmente, le comunità - un mare di asiatici di Piazza Vittorio, albanesi, sudamericani, slavi, cinesi, filippini, nigeriani - ma la maggioranza degli spezzoni era multiculturale. E, naturalmente c'erano i centri sociali e i social forum di municipi e grandi città, vallate e province o di singoli posti di lavoro. I loro striscioni venivano retti da mani di tutti i colori, così come le loro sedi sono ospitali e pronte a divenire zone franche qualora passasse la legge xenofoba per ora ferma al senato. Ad aprire il corteo, una pezza con su scritti i luoghi degli eccidi «dell'esodo e del proibizionismo»: Capo Pachino, Otranto, Trapani, Foggia, in memoria di stragi inutili e ancora impunite. Ma subito dietro ci sono donne di tutte le diaspore, di ogni migrazione, a reggere le richieste del corteo: «Una scelta di civiltà contro il razzismo della Bossi-Fini per i diritti». Il movimento è ironico, arrabbiato e consapevole. Non si limita a lasciarsi andare al ritmo delle musiche rilanciate da bande, gruppi e sound-system ma grida slogan come «Vogliamo solo tre espulsioni: Bossi, Fini e Berlusconi!», «Razzismo di stato, è il peggior reato!», e ancora «Italiano non dimenticare: fuori dall'Italia andavi a lavorare!». Secondo Wenny, filippina di Roma dell'associazione Umangat: «Siamo vittime della globalizzazione, i governi ci vendono come merce».
Molte, moltissime, le grida contro questa guerra, contro la strage in Palestina e nel Kurdistan e in solidarietà con il popolo argentino. Ai tamburi e ai bonghi, consueti in occasioni del genere, si sono aggiunte le "cacerolazos", le pentole battute sotto i palazzi del potere di Buenos Aires e che ieri hanno sfiorato l'ambasciata argentina nella capitale, blindata da centinaia di agenti dinanzi ai quali "La murgas in permiso" (musicisti vicini agli Hijos de Plaza de Mayo) hanno danzato nei loro costumi giallo-blu. Divertiti i bambini dell'asilo multietnico romano del "Celio Azzurro" reggevano il loro striscione che non era l'unico tenuto da under 10. La convivenza possibile si manifestava in vite e vertenze messe in comune come accade nelle fabbriche, nei campi o nelle occupazioni di case: lo spezzone del coordinamento romano per il diritto alla casa era la fotografia esemplare di una mescolanza ormai irreversibile.
E spuntano anche esperienze di vertenze miste, come quella dei giovani comunisti bergamaschi del collettivo precari che hanno deciso di partire con un'inchiesta sui lavori di indigeni e stranieri in vista di una battaglia per un'esistenza dignitosa per tutti. Da Bergamo, Brescia (da dove si rivendica anche il ritorno di Bouchaib espulso dopo essere passato per Bolzaneto), Caserta, Novara, Parma (perquisiti coi fucili spianati prima di partire) Padova, Genova, Lucca (bloccati per ore al casello dai filtri dei carabinieri in assetto di guerra), dalla Campania e dall'Umbria sono arrivati qui dopo aver misurato le proprie possibilità in scadenze locali clamorosamente riuscite.
Nessuno dei convenuti ignora il nesso tra la Bossi-Fini e l'attacco all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori che impone giuste cause per i licenziamenti. Non è stato solo una questione di solidarietà ma un momento di ricomposizione: il nuovo movimento operaio c'è già ed è multicolore e la lezione "romana" potrebbe essere questa: che lo sciopero generale può essere messo in cantiere senza aspettare che cali dall'alto, «come l'evento di oggi - ha suggerito Stefano Galieni del Roma social forum - nato senza cappello nelle sedi dei fori locali, delle associazioni».
Il grande corteo restituiva istantanee suggestive, come quella di un russo e un rumeno che si abbracciano in piazza ma ha stimolato riflessioni: «Era l'ultima occasione per dare una spallata alla Bossi-Fini - dice Fulvio Vassallo dell'Asgi - ma la mobilitazione deve proseguire ora sotto forma di una resistenza città per città, questura per questura, accanto ai migranti». Più ottimista Dino Frisullo di Senzaconfine: «Con questa forza si può bloccare la legge: il razzismo istituzionale non ha il seguito di massa che sbandiera».




la Repubblica

da "Repubblica.it" del 20.02.2002

Immigrati e No global in piazza
"Siamo in 250mila, no alla legge"


"Bisogna fermare il Ddl Bossi e Fini, sì alla sanatoria"

ROMA - Decine di dialetti da ogni parte del mondo, musiche differenti: dalle fisarmoniche dei Rom macedoni ai tamburi dei senegalesi per finire con i suoni elettronici dei centri sociali. Mille lingue, decine di migliaia di persone ("duecentomila, forse duecentocinquanta", dicono i leader del movimento No global) per esprimere uno stesso concetto: "No alla legge Bossi-Fini sull'immigrazione, sanatoria per tutti" che rimbalza da un capo all'altro del corteo di Roma, nato su iniziativa di Dario Fo, Antonio Tabucchi ed altri intellettuali contro il razzismo. L'invasione pacifica di piazza Navona, nel cuore della Capitale, da parte dei manifestanti è cominciata poco dopo le 18, quando la testa del corteo è entrata in quello che era lo stadio di Diocleziano. Mentre la piazza si riempiva, sono cominciati gli interventi dal palco dove hanno parlato gli organizzatori della manifestazione e i rappresentanti delle associazioni degli immigrati.
A testimoniare il successo della manifestazione, hanno fatto notare gli organizzatori, il fatto che dopo un'ora di interventi sul palco di piazza Navona, i manifestanti con i loro striscioni continuavano ad affluire. L'unica nota stonata, ha fatto notare qualcuno, è stata l'assenza di immigrati cinesi e filippini. Loro, però, non hanno comunque fatto mancare il sostegno e la partecipazione: in piazza Vittorio, all'Esquilino, il centro della Roma multietnica, molti negozianti asiatici del quartiere sono usciti in strada per applaudire il passaggio del corteo lasciando le serrande aperte, al contrario dei loro colleghi italiani che in via Cavour le hanno abbassate.
Maurizio Gasparri, ministro delle Comunicazioni, da Torino, aveva detto la sua: "Coloro che sfileranno oggi in corteo a Roma sono dei razzisti. Chi vuole far entrare tutto e tutti di fatto favorisce lo sfruttamento razziale''. Loro, invece, vanno avanti cantando "Clandestino" di Manu Chao, una colonna sonora perfetta per la manifestazione così come a Genova, nel primo corteo dei migranti di sei mesi fa. Un concetto, quello espresso in musica da Manu Chao poi ribadito in ogni angolo del lungo serpentone, sotto le mille sigle che lo compongono, con lo slogan: "Siamo tutti clandestini". Tocca a Luca Casarini rispondere al ministro e lo fa, come sempre, senza giri di parole: "Il linguaggio e la mistificazione usata da Gasparri sono gli stessi che utilizzava il nazismo. Le parole di Gasparri sono l'ennesimo esempio di come queste destre liberiste siano uguali alle peggiori destre del Novecento". E Vittorio Agnoletto rilancia: "Tutto si può dire di questo corteo tranne che sia razzista o razziale. Anzi, se ci riferiamo a quest'ultimo termine, le leggi in materia le conosce sicuramente meglio lui di noi". Ad aprire il corteo, un grande striscione: "Vogliono braccia, vengono persone. Una scelta di civiltà contro la legge razzista del governo". Dietro le mille sigle della galassia No Global ("No nazioni, no confini, questa è la nostra globalizzazione" scrivono nei loro manifesti), i disobbedienti, decine di Social Forum, ma anche la Cgil, presente in massa con i suoi coordinamenti degli immigrati, forte la presenza dei sindacati delle fabbriche "padane" con delegazioni folte da Brescia, dalla val Trompia e la val Sabbia, le bandiere multicolori dell'Arci, quelle rosse di Rifondazione, dei Comunisti italiani, i Verdi.
Non è mancato il sindaco di Roma Veltroni a testimoniare, come ha detto egli stesso, "un tentativo di dire che ogni società moderna, e ogni grande città moderna, sono multiculturali e il principio dell'accoglienza è ciò che ispira una società moderna". Mentre il segretario della Cgil ha ribadito: "Gli immigrati sono una risorsa fondamentale per l'economia e l'arricchimento culturale dell'Italia, perché credo nel valore di una società multietnica dove diverse culture possano vivere in pace". Poco più avanti Fausto Bertinotti e Tortorella hanno duialogato senza sosta mentre Bassolino ha passeggiato rilassato, salutando il leader dei no global napoletani Francesco Caruso. Per un giorno, sono cadute anche le barriere fra la sinistra storica e il movimento.
Ma soprattutto ci sono stati loro, i "migranti", i Rom, i senegalesi, i cingalesi, gli argentini che protestano davanti alla loro ambasciata, i giovani e le donne con il permesso di soggiorno e i clandestini, quelli che normalmente si nascondono che hanno chiesto, oggi come sei mesi fa a Genova, in francese o nelle loro lingue d'origine di essere trattati come persone, e fra la musica ed i canti un giovane senegalese se ne andava in giro con un cartello con su scritto: "Siamo incazzati bianchi".
Negli interventi, sul palco di piazza Navona, si è chiesta la sanatoria per tutti e il ritiro del disegno di legge Bossi-Fini. Nel corso del dibattito conclusivo, lo scrittore Erri De Luca ha recitato una poesia ed è stata letta al pubblico una lettera della madre di Carlo Giuliani. "E' bruciata la cancellata con foto, lettere, fiori - era scritto nella lettera - ma la memoria di Carlo è ancora viva". Domani i No global sfileranno a Genova, a ricordare i 6 mesi esatti dalla morte di Giuliani.




il manifesto

da "il manifesto" del 20.02.2002

Centomila diritti multicolori

di Massimo Giannetti

Ormai parlano benissimo la lingua italiana e conoscono la "legge di Bossi e Fini" a menadito. Molti cominciano ad avere qualche capello bianco e tanti anni di lavoro "extracomunitario" alle spalle. Cosa diamine dovrebbe fare un uomo così, che all'improvviso viene a sapere che i contributi che ha versato per dieci-quindici anni allo stato italiano saranno utilizzati per finanziare una legge che, come dice Amadou, senegalese da 13 anni operaio a Pisa, "ci mette alla pari di uno straccio da buttare appena usato"? Bhè, come minimo scende in piazza. E così è stato: gli stranieri, a occhio, sono quasi la metà degli oltre centomila antirazzisti che ieri hanno sfilato per le strade del centro di Roma. Di sicuro, pensando al passato, sono tantissimi e sono giustamente "incazzati neri", come si legge, ironicamente ma non tanto, sui berreti che passano da mano in testa tra gli immigrati del "gruppo misto" napoletano. Le variazioni sul tema sono davvero tante e così altri indossano i panni dell'"incazzato bianco". La musica non manca, come non manca il galateo: "Aprono le donne", ripete l'organizzazione prima della partenza. "Per una scelta di civiltà. Contro la legge razzista del governo", è la parola d'ordine che guida la marcia. Si parte, come da rito, da piazza Esedra, ma il percoso sarà un po' diverso. Si passerà infatti all'Esquilino, il quartiere più multietnico di Roma, per poi tornare indietro e riscendere via Cavour, fino ai Fori Imperiali per poi guadagnare piazza Nazona. Tutti non ci arriveranno, perché mezzo corteo a un certo punto si rilassa e marcia su altre strade. Anche i politici sono sciolti. Alcuni solitari, altri in compagnia. L'organizzazione ovviamene è presente tra i più. Come quella dei bresciani: "Siamo venuti in 15 mila", sottolineano i lavoratori neri della Cgil.
"Il vero problema è il razzismo, non l'immigrato", scrive il circolo romano cerco Piteco di Montemario. E qui sono davvero tutti d'accoro. Il tema, almeno alla grande, era assente dalla piazza da diversi anni, dai tempi del governo Dini. Da allora molte cose sono cambiate. E si vede anche dai volti dei partecipanti. E' variegatissima pure l'età. I giovani sono molti, come i quarant'enni, ma ci sono anche anziani e bambini, mamme e papà che spingono carrozzine, politici e sindacalisti, cattolici, islamici. Immigrati regolari e non. Anzi, no oggi "contro Bossi e Fini siamo tutti clandestini", gridano al megaforno dal "sud sond sistem della gente" trascinando dietro di sé decine di giovani che ballano e cantano al ritmo di Manu Chao. "Tutti uguali, stessi diritti", è stampato su molti striscioni ripetuti in tante salse e lingue. "No borders, no nation" confermano altri. "Il razzismo è una brutta bestia" gli fa eco un altro cartello.
Ecco il sindaco di Roma Walter Veltroni in piazza, come aveva annunciato, da "semplice cittadino". Sembra un po' spaesato, perfino imbarazzato quando un gruppo di immigrati lo accerchia suonando tamburelli. I rom di vicolo Salvini (Roma), come anche quelli di Tor de Cenci, sono vestiti a festa: giacca, cravatta e scarpe lucidate. Le bambine ballano musiche gitane. "Siamo persone da rispettare, non merce da contrattare", dicono i "trecento nordafricani" venuti da Pesaro e Urbino. Partecipano molte strutture sindacali, dai Cobas alle camere del lavoro, ci sono i lavoratori romani dell'Itast. Arriva anche Cofferati. Perché i confederali non hanno aderito?, gli chiediamo. "Gli obiettivi di questa manifestazione sono largamente condivisibili. La Bossi-Fini è un danno per la coesione sociale e per l'economia italiana. Ma per fare in modo che venga radicalmente modificata occorrono più iniziative. Quindi come confederali abbiamo promosso unitariamente un'altra protesta per il 19 marzo". Boubacar è un signore alto e magro immigrato dal Senegal che "da sette anni respira veleni in una fabbrica toscana: a Berlusconi chiediamo il rispetto dei nostri diritti. Quelli del governo lo sanno che senza il nostro lavoro l'Italia si ferma, hanno fatto questa legge perchè hanno vinto le elezioni facendo passare l'idea che gli immigrati sono tutti criminali". "La legge deve essere uguale per tutti - aggiunge Bancer, del Burkina Faso, che costuisce funi d'acciaio in una fabbrica della Val Trompia -. Non è giusto fare una legge per gli italiani e una per gli immigrati. Questa è divisione, quindi razzismo. La loro legge cancella i nostri diritti. Io sono in Italia da undici anni e voglio che vengano rispettati". Il Centro documentazione sul movimento operaio di Marghera non ha dubbi: "Sostegno incondizionato ai lavoratori immigrati". "Siamo persone non schiavi", sottolineano i ventei.
Siamo ai Fori Imperiali. L'inizio del corteo è già arrivato a destinazione. La coda è a qualche chilometro più indietro. Le voci si confondono ai suoni dei fischietti, degli slogan. A tratti lo stato d'animo del corteo risente dell'aria che tira nel paese. In altri tratti invece si fa festa insieme alla "banda degli ottoni" di Milano e ai 99 Posse sparati a tutto volume dal furgone dei campani. In mezzo, confusi tra centri sociali e i vari social forum, scorrono i partiti: quindi la federazione Ds di Roma e molto dopo quella di Rifondazione, sempre di Roma. Il finale è per l'integrazione in chiave culinaria: "Viva la polenta, viva il cous cous". Lo scrivono quelli del Prc di Bergamo, culla della Lega Nord.




Dal Marocco a piazza Esedra

"Sto rinnovando il permesso, ma magari sono già clandestino e non lo so". La fatica di vivere da immigrato raccontata da Mohammed. In Italia non solo per fare l'operaio.

di Cinzia Giubbini

Laureato e operaio, in Italia sfacciatamente "per fare politica", marocchino catapultato a Brescia solo da un anno, Mohammed. E' dalla sua voce coperta dai fischietti assordanti venduti a "un euro", in un lungo viaggio a piedi in compagnia di una comitiva agguerrita, che ascoltiamo cosa vuol dire essere migrante; catapultati noi dall'altra parte.
Berretto calato sugli occhi, lunga giacca di velluto e pelliccia "se mi incontri per strada magari pensi che sono uno spacciatore". Effettivamente Mohammed non ha una fisionomia rassicurante "e invece pensa un po' sono laureato in letteratura e giurisprudenza". Mohammed ha perso il treno, è arrivato in ritardo. Il corteo contro il ddl Bossi-Fini già trabocca da piazza Esedra. "Roma la conosco bene, abitavo a Fregene vicino al mare. Tre mesi bellissimi".
Mohammed festeggia un anno da quando ha ottenuto dall'ambasciata del Marocco un visto per "inserimento lavorativo". "Mi ero proprio stufato del Marocco - racconta - per tanto tempo sono stato un militante, ora il mio partito è entrato nel governo. Ma so che ci vogliono troppi anni per cambiare le cose. E' complesso gestire un'opposizione politica, succede anche qui in Italia, no?". Intorno persone di tutto il mondo gridano "non siamo solo braccia al lavoro". Mohammed racconta così la sua decisione di lasciare il paese: "Cercavo qualcosa, qualcosa di diverso. A Roma dovevo lavorare per l'ambasciata, ma avevo troppi problemi con la lingua, non mi piaceva stare con le mani in mano e dopo tre mesi sono andato a Brescia per fare l'operaio". E così Mohammed inizia la vita da immigrato vero e proprio, a 36 anni. Cosa significhi "inserirsi nel mondo lavorativo" è un lungo racconto che dura da piazza Esdra a piazza Vittorio, venti minuti circa. "Allora, trovo un datore di lavoro e mi dice: vai a fare il libretto di lavoro. Vado in ufficio e mi dicono: deve venire qui il tuo datore di lavoro. Ho perso tre mesi con questa burocrazia e pensavo: o è matto il mio padrone, o sono matti all'ufficio oppure sono matto io. Quando riesco a sbloccare le cose per il libretto di lavoro mi dicono: eh, ma ci vuole la residenza. E pensa un po', c'erano dei marocchini che vendevano il libretto di lavoro a 3 milioni e la residenza a 2 milioni. Perché le cose bisogna dirle tutte, non fare l'ideologia degli immigrati tutti buoni, bisogna ragionare sul sistema. Siccome in Italia cercano di rendere impossibile la vita allo straniero, che però nel frattempo lavora, è ovvio che qualcuno cerchi di guadagnarci soldi. E' la stessa cosa per la casa. Impossibile da trovare perché gli italiani non le affittano agli stranieri, allora ci sono quelli che riescono a ottenere un contratto e poi subaffittano a altri stranieri. Non è bello ma è normale. E' dura la vita, mi aspettavo di meglio in Italia".
Mentre il serpentone di persone guadagna la vista di Santa Maria Maggiore, dall'altra parte della piazza si vede la coda del corteo: "Ma siamo proprio tanti, è bellissimo. Quanti stranieri ci sono, è importante". Scendere in piazza per protestare è una scelta vera e propria per chi fa il "mestiere del migrante" spiega Mohammed: "Ora lavoro con un'agenzia interinale, dove ci fanno un contratto settimanale. Un vero stress. Comunque si lavora. Però dall'ultima fabbrica sono stato cacciato dopo il 24 novembre, giorno della manifestazione a Brescia. Distribuivo volantini, e questo non è piaciuto al padrone". La gente si assiepa sui marciapiedi per vedere scorrere la manifestazione: "Più cous cous meno polenta" dice un cartello. "E così adesso mi trovo nei guai, perché il permesso di soggiorno è scaduto proprio a dicembre. Ho fatto una lunga battaglia contro il padrone e alla fine mi ha concesso un contratto di una settimana. Spero che basti per farmi rinnovare questo benedetto permesso. Ma pensa un po', se passa la nuova legge sono già clandestino e non lo so". "La Bossi-Fini non passerà" c'è scritto a caratteri cubitali su uno striscione. "La destra ha la maggioranza in parlamento - dice Mohammed - Ma dopo questa manifestazione ci penseranno due volte".
In via dei Fori imperiali il semaforo è ironicamente rosso; la folla si appropria del boulevard romano con pacifica determinazione. Con Mohammed ci godiamo lo spettacolo tra sigarette offerte a vicenda. "Secondo me tutta questa gente ha capito benissimo che il disegno di legge non è solo contro gli immigrati, ma anche contro gli italiani - riflette Mohammed - è tutta una stessa tattica: l'abolizione dell'articolo 18 nel lavoro, la riforma della scuola, la guerra in Afghanistan". Scoraggiato? "Queste cose, laggiù nel terzo mondo, le abbiamo capite da parecchio. Il mondo è diviso tra nord e sud, c'è chi decide le cose e chi, semplicemente, non può neanche dire no. Ma abbiamo una buona carta da giocare, e è quella della protesta. Protestare contro le categorie che ci appiccicano addosso: io sono marocchino, tu sei italiana, io sono musulmano, tu sei cattolica e scemenze del genere. Dobbiamo dire che ci sentiamo uguali, in qualsiasi parte del mondo. Ma dobbiamo anche capire come sta l'altra parte del mondo, e sta male. Mai perdere di vista quello che succede fuori dai confini dell'Europa e degli Stati uniti. Dobbiamo batterci perché anche laggiù ci sia un mondo migliore".



Roma Sud-Ovest Social Forum
Roma Sud-Ovest Social Forum