Roma, Castel Sant'Angelo, 6 luglio 1988

Correva il giorno sei di luglio del millenovecentottantotto.
In una Roma bollente e già svuotata dal primo esodo estivo, uno spensierato diciottenne accolse l'invito di un gruppazzo di amici più grandi di lui, ad andare a un concerto alla festa del Partito Comunista Italiano, più comunemente detta festa dell'Unità. Si fa ancora tutti gli anni, la festa dell'Unità, ma al giorno d'oggi è organizzata da un altro partito. Fa niente. Quell'anno si teneva nei giardini sotto i bastioni di Castel Sant'Angelo. Tredicimila lire per un biglietto comprato in prevendita, per non rischiare di rimanere fuori, ché i posti non erano poi tanti.
Ora è meglio che voialtri vi mettiate comodi, mentre io raccolgo le idee e, seguendo i ricordi di quella serata di undici anni fa, vado a narrarvi quelle due ore, parola per parola, accordo per accordo, sorso di vino per sorso di vino, come si conviene alle esibizioni del Guccio, ché tralasciare qualcosa sarebbe un peccato, nevvero? Bene. Signore e signori, Francesco Guccini in concerto. Il mio primo concerto.
Era il tour in cui venne registrato "Quasi come Dumas". Forse una delle scalette più belle, nei quasi venti concerti del Guccio che ho collezionato da allora: tutti i pezzi che trovate in quell'album dal vivo, più i pezzi forti di quello che allora era l'ultimo album uscito e che ancora oggi rimane secondo me il migliore mai partorito dal Guccio: si parla di Signora Bovary, ovviamente. Più i pezzi storici che canta sempre e comunque, va da sé.
Prima di iniziare a cantare, solite storie per far sedere quelli rimasti in piedi. "Ragazzi, non è possibile, ve lo dico tutte le volte. Una volta al Gianicolo ci ho messo mezz'ora, e gli dicevo: mettetevi a sedere, e vedrete che la chiappa, essendo di sé elastica... andando avanti di millimetro in millimetro... la chiappa se Dio vuole respira! La chiappa è la seconda cosa che respira nel corpo umano dopo i polmoni! Come del resto ben sappiamo noi fumatori, che una volta esauriti i serbatoi del torace, iniziamo a respirare dalla chiappa..."
Tira su un sorso di vino, e subito parte un "eeeehhhh" dalla folla. Lui si gira tutto risentito e rimbrotta quelli delle prime file "non capisco cosa ci sia da far tutto sto' casino ogni volta che uno beve un sorso… Voglio dire, pensate se ci fosse mia figlia... Penserebbe: ma questo è più conosciuto come cantante o come uno che beve?... (ndr Teresa aveva allora 9 anni, o giù di lì). E poi è solo quel sorso che basta per rallegrare l'ugola, rattristita dalle notazze che emette…." Dopo l'immancabile "Canzone per un'amica" inizia a spiegare "ora vi dirò quello che vi aspetta questa sera… siete un po' come a una mensa aziendale, ove il menù è quello e altro non ve n'ha… a proposito, oggi ero a mangiare in treno e al cameriere ho chiesto il sale…. mi ha risposto 'non c'è arrivato'… e io ho immaginato delle carovaniere che viaggiano lungo le ferrovie italiane… 'comandante, il forte è lontano, il sale arriva una volta ogni sei mesi'..." Si percepisce un rumoreggiamento proveniente dalla gente rimasta fuori senza biglietto, e lui si interrompe preoccupato "pare che accadano sommovimenti all'esterno…. probabilmente hanno sbagliato concerto…" Mentre riprende il discorso il rumore aumenta, e lui "questo mi riporta indietro ai begli anni, grazie… Quando non potevi fare un concerto senza che accadessero casini inumani..."
Prova a coprire il rumore di fondo riattaccando a cantare: Signora Bovary e Due anni dopo, in cui per la prima volta il ritornello viene aggiornato a "Vent'anni dopo al punto di partenza...", e si inizia a capire il tema della serata. Che lui spiega a ruota: "capite, quest'anno ricorreva. Già, ricorreva. Di tutto: ventennali, ventenni, ventennii… e allora abbiamo ripreso le canzoni di quei tempi là, e abbiam deciso di rifarle. Voi direte: ma a suo tempo cantavi 'due anni dopo'… da che cosa? Beh, due anni dopo da canzoni di questo tipo…" E parte Auschwitz, splendida ed emozionante allora come oggi. Poi si continua a parlare di cibo, e lui passando in rassegna i vari tipi di locali confessa "guardate, io non sono mai entrato in un Burghy... no, nulla di particolare, c'è proprio qualcosa di fisico che me lo impedisce... avevo appena introdotto il piede sinistro, e già le scritte misteriose mi uccidevano. I colori delle bevande eviravano dal verdolino strano al viola radioattivo…" Scatta l'urlo dalla platea "viva le lasagne!", e lui sbotta "vabbé, ora non esageriamo… addirittura la cucina di mamma!" Risposta dal pubblico: "di mamme ce n'è una sola", che lui completa "si, ma quella canzone dice anche che i ricchi di mamme ne hanno più di una. Nascono con una mamma, poi a vent'anni la mamma non gli piace e ne prendono subito un'altra… ovviamente d'accordo con i sindacati, è una assunzione in piena regola... siamo noi che di mamma ne abbiamo una sola." Qualcuno lo provoca: "ma tu sei ricco!", e lui pronto: "ah, ma infatti io ne ho due di mamme... una è la mia, quella vera, e l'altra è Flaco Biondini..."
Dal pubblico in un momento di silenzio si alza una richiesta: "la Genesi, dopo!" E lui, sarcastico "ah, sì.... me lo posso appuntare sul polsino???" E poi, rivolto a uno scatenato fan sotto al palco "e dai, smettila, lo sai che la faccio, dopo! La locomotiva, lo sanno tutti che alla fine la faccio, è inutile che tu stia qui tutto il concerto a delirare 'la locomotiva, la locomotiva'....." Un altro gli grida "sei simpatico" e lui replica "sì, ma anche Mike Buongiorno alle volte è simpatico... bisogna stare attenti, ad esser simpatici". Un altro grido dal pubblico "Ciccio ti amo!" E lui "comeeee? eeehhh? ma che vuol dire... aaaahhhh Ciccio-ti-amo!!! Io avevo capito 'cicciottiamo', tutto attaccato… nel senso che ci fosse un verbo... il 'cicciottare'... mi sfuggiva questa variante dell'erotismo..." E a proposito di erotismo, inizia tutta una classificazione delle varie sfumature del genere, per arrivare a parlare di quello che "con elegante espressione viene definito l'eros solitario". Non poteva mancare l'oxfordiano del pubblico che subito traduce "le pippe!!!", prontamente ripreso dal Guccio che lo sgrida con tono da professore arrabbiato: "vergognati... il termine 'pippe' è volgare due volte: primo perché è volgare, e secondo perché ricorda Pippo Baudo". Boato di approvazione dalla platea... ma lui guarda in alto, dove c'è gente che si gode il concerto arrampicata sui bastioni del castello, e fa "ehi, c'è uno di Catania, lassù, che si è offeso..."
"Ora vorrei parlare di quei posti che si incontrano lungo le autostrade…" Scatta immediato l'applauso, ma lui lo smorza subito ammonendo "sì, voi applaudite perché pensate alla canzone, ma non vi è mai capitato, come è successo a me, di rimanere intrappolati per sei giorni in un autogrill, dietro a una montagna di confezioni economiche di fazzolettini... di quelli che insieme al sudore ti detergono via anche mezza faccia.... per non parlare di entrare nei cessi degli autogrill... è una operazione pericolosissima... e avete notato che davanti c'è sempre uno grosso come un animale con la faccia cattivissima... ma a cosa serve?" Pronta la risposta dal pubblico "glie devi dà du' piotte!" che lui coglie al volo "Aaaahhh, grande l'intelligenza di quel ragazzo! Ecco qual è la funzione ufficiale.... 'glie devi dà du' piotte'!" Poi continua a raffica: "Ragazzi, avete notato che i rubinetti nei cessi degli autogrill diventano sempre più demenziali? Cioè, una volta c'era la manopola, tu giravi, e veniva giù l'acqua... adesso no... er bottone... er pedale... tu sei lì, e prima di capire cosa devi fare... L'ultimo tipo che ho visto dovevi far così (e mima uno che prende a gomitate il muro)... e più davi di gomito, più l'acqua veniva giù calda... dico... una fatica inumana! Poi ne ho visto uno che hai davanti una pedaliera come un'auto da corsa... e al posto del rubinetto c'è un volante... e tu per far venire giù l'acqua devi reggere il volante, e così col cazzo che te le lavi, le mani!" Dopo la canzone continua, incontenibile: "ragazzi, ci terrei a precisare che l'autogrill della canzone non esiste. L'ho inventato io, giuro. No, lo dico perché so di gente che si è fatta tutta l'Italia avanti e indietro con la macchina, a cercare questo posto misterioso con la biondina che biondina non sembrava, le tendine rosa, ecc. ecc.. l'ho inventato io. E la dimostrazione è che vi sfido ad entrare in un autogrill e chiedere un bicchiere di "birra chiara e seven up"... rischiate di beccarvi un cazzotto in un occhio... perché di solito nei bar degli autogrill sono nervosissimi... ma proprio di brutto, sono incazzati come delle pantere... tu entri e loro secchi 'lei cosa vuole?'... e tu guardando distrattamente la vetrina del bancone 'maaah... io veramente vorreiiii....' 'COSA VUOLE LEEEEI????' E a quel punto chiedi la prima cosa che ti passa per la testa... No, io una volta l'ho fatto, di chiedere birra e gazzosa... Ma mica per imitare la canzone, ma perché quando uno magari la sera prima ha bevuto quel tantino in più… il giorno dopo non ha voglia di ricominciare a bere… e allora prende mezzo boccale di gazzosa, o sprite, e mezzo di birra. I casini vengono alla cassa: "lei cosa ha preso, una birra?"… "No, guardi, non è birra - per correttezza, non lo sai...- ma mezzo di birra e mezzo di sprite". "COME SI PERMETTE?" "No, come sarebbe come mi permetto… eran lì tutte e due.." "Sì, ma io cosa devo farle pagare?" Insomma, la volta dopo non lo fai più..."
Ora, pazienti lettori, tutto questo monologo sull'autogrill immaginatelo con il Guccio che va da una parte all'altra del palco mimando prima di entrare nei cessi tenendosi raso al muro, poi alle prese con i vari tipi di rubinetto, infine a colloquio con il barista isterico e con la cassiera rompiballe... di pezzi divertenti ne ha fatti tanti, ma quel quarto d'ora di cabaret per me rimane nella storia. Il bello è che dopo tutto questo sproloquio continuò: "non vi dispiace, vero, se parlo ancora un pochino... è che altrimenti uno fa la fine di quelli che cantano soltanto e poi non sono più capaci di mettere due parole in fila… voi direte 'ma tra una canzone e l'altra ci propini sempre un sacco di puttanate'... è vero! Ma sono puttanate che servono… come dire… ad ammorbidire. E poi le dicono in tanti, potrò dirne qualcuna anch'io? Ognuno dovrebbe rivendicare il diritto alle proprie puttanate. Dovrebbe essere un diritto in piena regola, sancito dalla Costituzione... ma non per tutti. Nossignore, non per tutti. Quelli che già le dicono abitualmente no, non se lo meritano". E continua: "ma rimanendo a parlare di posti dove si beve… la prossima canzone parla di quei posti mitici che sono le osterie… mitici perché in realtà le osterie non esistono, non sono mai esistite... le abbiamo create noi, nella nostra fantasia... il fatto è che all'epoca i locali che i ricchi usavano frequentare si chiamavano "whisky à go-go". Improponibili per chi come noi era di modesta estrazione sociale... non potevamo permetterci neanche di avvicinarci, ai whisky à go-go.. E fu allora che sperimentammo il vecchio trucco della sinistra: cioè che le cose che non si possono avere sono tutte stronzate… e inventammo le osterie!"
Riprende a suonare, e la canzone in questione ovviamente è "Per quando è tardi". Seguita dalla spiegazione: "nella versione originale ci fu una specie di censura... il mio testo diceva 'cantando mentre pisciano lontano'… questo sconvolse in modo agghiacciante e fibra per fibra i censori dell'epoca... e allora i Nomadi, che per primi cantarono questo pezzo, provarono la versione "cantando mentre guardano lontano"... e io pensai… ma questi personaggi della canzone non sono solo ubriachi, sono anche coglioni… e poi così me la abbassi di tono, invece deve essere un passaggio accentato... cantando mentre pìsciano, capite… però a quei tempi… non si poteva... e allora qualcuno coniò la versione che mi trovai a incidere: "cantando mentre sputano lontano'. Benissimo, ora voi ci provate... e poi mi dite come si fa! Perché è una operazione difficilissima!"
Incredibile ma vero, a quei tempi "Dio è morto" era in scaletta a metà concerto, ma tutti rimanevano buoni a sedere, a godersela e a cantarla a squarciagola senza dover scattare in piedi a tutti i costi. E' il momento di presentare i musicisti dell'ormai storica band: "lasciate che vi presenti questi signori che si trascinano per il palco emettendo futili suoni." E poi a ruota: "Ora vi farò ascoltare una canzone scritta molti anni fa che non ho mai inciso né cantato in concerto... finora l'ho cantata solo ogni tanto tra amici. Vai, Flaco". Parte l'assolo di chitarra, e a ruota Francesco inizia dolcissimo "ti ricordi quei giorni..." Scatta automatico l'applauso che saluta l'inizio di tutte le canzoni. Lui interrompe tutto e sbotta, tra l'ironico e il severo: "No, scusatemi. Non la conoscete! No, voglio dire, vi ringrazio molto, sono davvero orgoglioso di ciò, ma prima di applaudire ascoltatela..." Poi non ce la fa a rimanere serio, e scoppia a ridere "no, è che mi son chiesto: boh... si vede che una sera totalmente ubriaco a Roma l'ho già fatta... no, davvero, succede… uno è talmente sbronzo che non si ricorda più.... dai Flaco, di nuovo". "Da capo?", si azzarda a chiedere il perplesso chitarrista. E Francesco spietato: "OVVIAMENTE da capo, Flaco... da dove vuoi cominciare, dal mezzo?"
A seguire, il rullare della batteria di Ellade Bandini introduce l'allora nuovissimo arrangiamento della sempre emozionante Primavera di Praga, con l'intera platea in silenzio a pensare che proprio in quella estate del 1988 ricorrevano i vent'anni dall'invasione sovietica. E a ruota ecco Scirocco, fresca di Premio della Critica ricevuto qualche mese prima, come orgogliosamente sottolinea Francesco. Mentre parte l'assolo di basso che introduce la canzone, qualcuno dal pubblico riconosce la canzone e urla: "è Scirocco". Francesco anche stavolta ferma i suoi musicisti, e si rivolge alla platea in modo molto più severo di prima: "no, fermi un attimo, scusa Ares... lo ripeto ragazzi: la televisione ci uccide. A forza di vedere certe scemenze di quiz, ci troviamo continuamente con l'irrefrenabile stimolo di indovinare. E' tutto così... 'a che ora parte il prossimo treno per Roma?' 'Alle 14 e 25 sul terzo binario, cosa ho vinto?' Ma come cosa hai vinto... Le canzoni non si indovinano, ragazzi. Si cantano. Vai Ares."
Poi racconta di uno strano personaggio che come tutti i solenni bevitori aveva una certa moralità, per cui entrando in osteria non ordinava una damigiana ma un quartino, e alla fine della giornata a forza di quartini si era bevuto una damigiana intera… e tra un bicchiere e l'altro aveva incredibili sprazzi che lo portavano ad alzarsi e a trovare energie misteriose, quasi al di là del tempo. E' l'ubriaco, ovviamente, e la carica con cui Francesco canta questa canzone è tutta riassunta in quel "grazieeeeeee" sulle note finali che fa sobbalzare chiunque ascolti "Quasi come Dumas" per la prima volta. Si continua a parlare di osterie, e ovviamente di osti. Rimpiangendo i bei tempi in cui il vino doveva sapere di vino, mentre "al giorno d'oggi trovi gente che è orgogliosa di farti sentire quanto il loro vino 'sappia di frutti di bosco'... che io mi ricordo i miei nonni… si incazzavano come delle pantere quando il vino sapeva di frutti di bosco... annusavano una bottiglia appena aperta e con tono schifato ti facevano 'bleah, buttala via, che sto' vino sa di frutti di bosco...' per non parlare di quelli che oggi ti vogliono vendere un vino che sa di crosta di pane… Ci prendeva tutti a bottigliate, mio nonno... 've l'avevo detto! ve l'avevo detto! questo vino è venuto uno schifo, sa di crosta di pane. Se l'aveste messo su come dicevo io..."
Sempre a proposito di osterie, racconta che quella dell'ubriaco della canzone si chiamava "Osteria dei poeti", ma "non perché ci fossero dei poeti, ma perché c'era una strada che si chiamava 'Via dei poeti', dal nome di una famiglia che ci chiamava famiglia Dei Poeti... e l'unico poeta di cui lì ci fosse traccia era Giosuè Carducci, il cui busto era stato messo in bella vista nell'osteria... no, non da lui stesso probabilmente, era un ragazzo modesto... e sotto al busto campeggiava una targa con la sua celeberrima frase 'quando morirò seppellitemi in una vigna, affinché io possa ridare alla terra quello che le ho sottratto durante la mia vita"... che mi sembra un concetto ecologico molto importante.
"Lungo le strade e per il vento di Roma"... in una serata capitolina non poteva mancare Keaton, seguita dalla Canzone dei 12 mesi, eseguita in una trascinante e velocissima versione. Peccato non l'abbia ancora inserita in nessun album live (a ripensare a tutti i concerti sentiti e a tutti i pezzi cantati con nuovi arrangiamenti ma mai incisi dal vivo, la rabbia per quel doppio-fregatura della EMI cresce di giorno in giorno.) Quanto mai adatta a quei caldi giorni di luglio, "Giorno d'estate" precede la splendida "L'albero ed io". Tutte canzoni che oggi conosciamo con gli arrangiamenti familiari contenuti in "Quasi come Dumas", ma all'epoca erano autentici pezzi rari, presi da un album del 1970, tirati fuori e riarrangiati completamente per l'occasione. Come se oggi facesse lo stesso con "La ballata degli annegati" o "L'uomo", per dirne un paio.
Non vi ho detto finora, ma molti di voi se lo ricordano di sicuro, che il Guccio all'epoca si presentava sul palco con il più classico dei fiaschi di vino, al giorno d'oggi sostituito da una più signorile bottiglia. E durante il concerto beveva come se fosse in osteria, non un sorso ogni tanto come oggi. Direttamente dal fiasco, senza bicchieri di sorta, ovviamente. E gli effetti del vino, più o meno da metà concerto in poi, si vedevano... eccome se si vedevano... in quel caso iniziarono a farsi sentire quando, al momento di eseguire "Il vecchio e il bambino", apostrofò il povero Flaco che si attardava nell'accordare al meglio il suo strumento. "Perdonatelo", fece Francesco rivolto al pubblico... e poi, tra gli sguardi atterriti dei musicisti, improvvisò una spiegazione "no, non è colpa tua, Flaco. E' che la tua chitarra prima, l'ho vista io, è andata lì dietro a scopare con il basso di Ares Tavolazzi... per cui adesso è ancora un po' sconvolta... io non me la prenderei tanto con la chitarra, quanto con il basso di Tavolazzi... gli farei una scenata, dopo. E se nasce un mandolino?"
L'esecuzione de "Il vecchio e il bambino" è sempre uno spettacolo, se fissate lo sguardo su Ellade Bandini, che durante le varie strofe riesce ad utilizzare un imprecisato numero di strumenti e ad emettere i suoni più strani e particolari. Poi Francesco torna a richiamare l'attenzione del pubblico, stavolta indicando il proprio polso destro: "vedete che porto questo monile... un braccialetto fatto di perline... mi tocca portarlo, perché mi è stato regalato dalla sua fabbricatrice che mi ha detto 'ti piace, babbo?'... e allora mi tocca portare questa puttanatina a perline gialle e rosse." L'immediato boato della platea ricorda a Francesco che ha nominato due colori particolari, qui a Roma. "nonononoooo per l'amor di Dio, il colore è casuale, giuro... non sono così ruffiano... cioè, sono ruffiano ma non fino a questo punto..." E a quel punto non si lascia scappare l'occasione di schernire il pubblico: "ma così, per sapere... chi avete comprato? chiiii? L'ultima volta che ho cantato sotto questo castello erano i tempi di Falcao, ma ora... non mi sembrate molto contenti... lo so, ci vuole pazienza." Qualcuno prova a rilanciare lo scherzo, ironizzando sulla sua nota simpatia per una squadra che al tempo militava nei campionati dilettanti: "e la Pistoiese, chi ha comprato?" Ma il Guccio, facendosi improvvisamente serio, zittisce la platea declamando solennemente: "la Pistoiese, signore, è una fede". Poi riprende: "dunque, vi dicevo che io ho in casa questa fabbricatrice immonda di braccialetti, a cui ho anche dedicato una canzone..." E la sempre meravigliosa Culodritto precede Venezia e Asia, appaiate in scaletta come nel concerto di "Fra la via Emilia e il West" e applauditissime per le emozioni e le suggestioni che evocano. "Anche questa volta siamo arrivati alla fine. Vi saluto con la solita canzone". Tutti in piedi, tanti pugni alzati. Oggi forse gli organizzatori della festa del'Unità storcerebbero la bocca, ma all'epoca era la festa del PCI e aveva un senso particolare cantare lì quella canzone. Il bis dopo la Locomotiva fu quella scatenata versione di "Al Trist" che chiude anche "Quasi come Dumas". "Capite qualcosa di quello che dico?" chiede dopo la prima strofa. Coro di nooooooo dal pubblico... "ascoltate alla radio musica americana dalla mattina alla sera, e la capite, e se io parlo in modenese noooo?" Dopo il trascinante blues Francesco è tutto per il pubblico, a ringraziare e a dare appuntamento alla prossima occasione (che lo riporterà nella capitale solo due anni e mezzo più tardi, dopo aver inciso "Quello che non"). "Grazie Roma. Ciao".
Chi è arrivato a leggere fin qui se ne sarà accorto: a quei tempi il Guccio in concerto chiacchierava e sproloquiava molto più di ora, probabilmente perché improvvisava tantissimo, mentre ora lui stesso racconta che va sul palco con degli spunti già pronti per le famose "puttanate" con cui intervalla le canzoni... non che siano meno brillanti, ma quelle si è preparato e quasi sempre a quelle si limita... mentre all'epoca ogni spunto dal pubblico diventava motivo di esilaranti pezzi di autentico cabaret. Io vi ho raccontato solo quelli che mi ricordo, aiutato dal fatto di aver risentito diverse volte, negli anni scorsi, la registrazione di quel concerto fatta da amici con mezzi di fortuna. Da quel giorno di undici anni fa, oltre alle raccolte dal vivo, ha pubblicato tre album: Quello che non, Parnassius, D'amore di morte.... su ognuno dei quali ci sono diverse canzoni che meritano di stare alla pari con i pezzi storici del suo repertorio. Alla faccia di chi già nel 1974 scriveva che "Guccini non ha più nulla da dire", tanto da meritarsi il verso più feroce dell'avvelenata. E il resto è storia di questi giorni.


Fil, luglio 1999



La locomotiva - racconto per immagini di Francesco Guccini

Torna all'indice "La locomotiva"